La birra durante la Seconda Guerra Mondiale

Come abbiamo già detto, la birra ha una storia lunga e molto interessante. Si parte perfino prima degli Antichi Egizi, passando per il Proibizionismo Americano per arrivare ai giorni nostri. Ma cos’è successo alla birra durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia e nel mondo? Com’era la produzione? E i trasporti?

La Seconda Guerra Mondiale, come prevedibile, portò una fase di arresto delle industrie birrarie italiane, che ripresero la produzione immediatamente nel periodo post bellico, al punto che nel 1950 si producevano addirittura l’1,5 milioni di hl di birra. Ma durante gli anni della guerra, con tutti gli operai al fronte, ovviamente fu un periodo di scarsa produttività.

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Diverso il discorso in Germania, che non restò mai a secco di quella che era considerata “la bevanda del popolo”. Ma com’era possibile quando i birrifici tedeschi avevano i loro uomini migliori in battaglia? La verità è che l’industria brassicola tedesca si avvaleva di prigionieri di guerra. A migliaia furono prelevati dai campi di prigionia e impiegati nell’industria. I prigionieri – spesso italiani – si occupavano di tutto: dalla raccolta dei cereali fino alla produzione e al confezionamento.

Per quanto riguardava gli Alleati, il discorso era diverso ma non meno interessante. Dopo lo sbarco in Normandia i piloti della Royal Air Force idearono uno stratagemma creativo per trasportare la birra ai soldati impegnati al fronte che avevano bisogno di essere rinfrancati. In pratica gli aviatori pensarono di riempire i serbatoi esterni dei loro aerei di birra anziché di carburante. Uno Spitfire era in grado di trasportare 90 galloni di liquido. Per poterlo fare, i serbatoi vennero prima ripuliti con il vapore, poi vennero messi in opera. Questi caccia speciali vennero chiamati “pub volanti” dai soldati felici di vederli arrivare.

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